S’ogu Pigau
- thevvitchproject
- 19 gen 2022
- Tempo di lettura: 3 min

La Sardegna è una di quelle terre che ancora conserva una grande tradizione di magia popolare, derivante dalle campagne.
Sono moltissime e tutte interessanti, e mi piacerebbe iniziare con voi un percorso di approfondimento, specialmente sulla magia ”popolare”, o delle campagne.
In questo post, infatti, vorrei parlarvi delle credenze che ruotano intorno a s’ogu pigau, ovvero il malocchio, una “malattia” piuttosto difficile da essere spiegata attraverso la medicina convenzionale.
Chi è colpito dal malocchio spesso soffre di mal di testa, febbre alta, inedia e sovente si scora, gli si “spacca il cuore”.
Le persone che possono lanciare il malocchio si riconoscono perché hanno quello che viene chiamato “sa pipìa ‘e s’ogu”, la pupilla più grande del normale, detta anche “s’ogu ‘e crabu“, l’occhio del caprone.
Molti ritengono che il prendere d’occhio è una questione di sangue, quindi ci sono persone che appartengono a famiglie che per tradizione esercitano questo influsso in maniera forte e costante.
Molto spesso di tratta di persone che nutrono grande invidia verso la felicità altrui, ma generalmente, chi lancia il malocchio, lo fa inconsapevolmente e lo fa anche perchè stima in maniera smisurata la persona colpita.
Max Leopoldo Wagner, nella sua opera ”Il malocchio e credenze affini in Sardegna” scrisse che chi è predisposto ad essere colpito dal malocchio, è una persona di bell’aspetto, con occhi splendidi, soprattutto i bambini, anche se non è sempre così.
Il malocchio viene curato con rituali in cui si recitano brebusu (le parole magiche) associati ad una gestualità ben precisa, in cui il sacro e il profano si incontrano.
Chi è colpito dal malocchio si reca dai mexinerasa, che conoscono sa mejina de s’ogu, la medicina dell’occhio.
Sono ancora tante le persone che conoscono questa pratica, soprattutto donne, mentre gli uomini sono in piccole percentuali.
La tradizione della cura al malocchio viene tramandata oralmente, generalmente a familiari o conoscenti, in base ad una particolare predisposizione o al sangue.
Gli elementi che vengono utilizzati, accoppiati ai brebusu, sono molteplici: acqua, acqua benedetta, grano, sale, olio, riso, pietre, indumenti, corna di muflone, terra. L’elemento imprescindibile è, per tutti, l’acqua.
Alcuni rituali prevedono, per la guarigione dal malocchio, l’utilizzo per nove lunazioni di affumentusu, fumigazioni, cioè l’inalazione di fumo prodotto da incenso, palme benedette, alloro, rosmarino, fiori benedetti e caffè. Qualcuno aggiunge a questi ingredienti da bruciare anche una ciocca di capelli o un pezzo d’indumento del malato.
La cura tramite acqua, grano e sale è la più diffusa; deve essere fatta per tre giorni di seguito, e se una persona è molto grave viene mandata da tre ”terapeuti” diversi.
La guaritrice effettua il rito prendendo un bicchiere d’acqua, benedetta o salata, generalmente con tre grani (il sale purifica l’acqua, e sostituisce la benedizione del prete), poi aggiunge tre chicchi di grano nel bicchiere, facendo ogni volta il segno della croce su se stessa e sul bordo del bicchiere e recitando il seguente brebusu:
Deusu e Sant’Antiogu
e Deu ti torri s’ogu
e Santu Pantaleu
s’ogu sia torrau
kun Sto arrivando! Vergini Maria
ki t’abberda is pottasa
is pottasa de su Paradisu
po imbukai a l’estinzione Issu
a l’estinzione Issu è imbukau
kun fotti e kun poderi
e Santa Elisabetta
ka Issa è perfetta
de sanai kustu datori
Santa Sannora rimediedi su datori.
Nel frattempo i chicchi di grano si saranno gonfiati e se c’è il malocchio si solleveranno verticalmente e presenteranno delle bollicine, più queste sono grandi, più la situazione è grave.
La guaritrice allora fa bere alla persona l’acqua, oppure gliela butta dietro le spalle.
Terminato il rito chi è colpito da malocchio deve ringraziare dicendo “Deusu si du paghidi” (dio gliene renda merito) e la guaritrice risponde “ Po saludi ti serbada” ( ti serva per guarire).
Questi rituali hanno effetto anche a distanza e in assenza della persona colpita.
In questo caso è necessario che venga portato alla guaritrice qualcosa che appartenga al malato, e che questa reciti il brebusu rivolgenodosi in direzione in cui vive la persona da curare.

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